Adriano Celentano fa esplodere il palco di San Remo e le solite polemiche che seguono le sue prediche.
Se l’è presa con i preti che “non parlano mai del paradiso” e con i giornali cattolici che “non parlano di Dio”.
La sua eco-catto-visione della Fine del Mondo, quando i cattivi si vergogneranno al cospetto di Dio e chi è buono vivrà della vita eterna, sembrerebbe la risultante di una lettura e di un’interpretazione semplice (semplicistica?) e appassionata (approssimata?) dei Vangeli che ha folgorato fantasia e sentimenti dell’artista fin da giovane. Il “Re degli Ignoranti” si è da sempre sentito in dovere di predicarla con qualsiasi mezzo, musica, cinema, libri, giornali… e, soprattutto, televisione.
Da quel famoso Fantastico 8, passando per RockPolitik arrivando a Sanremo, spettacolo di punta della prima rete nazionale, le variabili della funzione sono sempre le stesse: ascolti, picco massimo di share = teatrino promozionale, due o tre calcolate uscite ad effetto durante l’esibizione (senza le quali sarebbe sempre la stessa), teatrino delle polemiche.
Quello che non è chiaro in tutto ciò è il ruolo che Adriano Celentano affida al telespettatore, inteso come singola unità senziente dell’insieme “ascolti, picco massimo di share”, quando assiste alla messa in scena di un’appendice di Apocalisse e ascolta il monologo-predica-sermone del telemessia suo alter-ego, Joahn Lui.
Non è chiaro il ruolo dello spettatore, soprattutto di quello che non cambia canale.
Visto che non l’hanno cambiato in 14 milioni è probabile che prima o poi qualcuno lo spieghi.